Come fare con i capricci?

I bambini non fanno i “capricci”!

Esprimono disappunto, tristezza, paura o insoddisfazione, attraverso lo strumento che più impatta sui loro genitori o maestri, ovvero:

  • pianto
  • urlo ed opposizione se andiamo sul versante “verso l’altro”
  • chiusura
  • adattamento
  • sconforto se andiamo sul versante “via dall’altro”.

Gli atteggiamenti più comuni di fronte al “capriccio del bambino” sono:

  • dare uno stop
  • alzare la voce
  • minacciare punizioni in modo più o meno velato
  • concentrarsi su frasi del tipo “ora no”, “non si fa così”, “ogni volta che siamo al supermercato tu fai così”, “sei sempre il solito…”
  • accontentare
  • andare in ansia.

 

Poche volte restiamo in ascolto del nostro stato d’animo. Tendiamo a reagire a quello che ci sembra quasi un torto perpetrato da un bambino a noi, o un problema.

Noi che di lui ci prendiamo cura sempre, che organizziamo la nostra giornata in sua funzione.

Il problema è la nostra reazione,  spesso va nella stessa direzione di quella del bambino: esercitiamo il nostro potere educativo e diamo un taglio al “capriccio”.

Così facendo apparentemente ristabiliamo i ruoli, crediamo di aiutare il bambino a comprendere come ci si comporta.

Pochissime volte si sta nell’emozione, la si accoglie, la si verbalizzaAncora meno spesso si va oltre l’azione visibile, oltre l’aggressività o l’atteggiamento oppositivo.

Se usciamo da questo schema aiutiamo il bambino ad apprendere qualcosa su se stesso, lo aiutiamo a dare un nome all’emozione che sta sotto il comportamento.

 

Parliamo meno dei comportamenti e più delle emozioni.

Comunichiamo in maniera empatica.

Cioè?

La comunicazione empatica si arricchisce di parole come “mi dispiace…”, “vedo che …”, “in questo momento sento nel mio cuore…”, “so che è difficile…”, “non so perché succede così alle volte, ma so che sono con te”, “adesso ti lascio un po’ solo…”.

Parole che vedono, sentono, che trasmettono com-passione.

Non danno soluzioni, non propongono comportamenti alternativi, non fanno paragoni con altri bambini migliori o peggiori, non danno solo prescrizioni educative, non parlano del prima o del dopo.

 

Stare sul presente.

Parlare dell’emozione. Della sua e della nostra.

Lasciare il tempo all’altro di sentirsi dentro.

 

Nel caso di bambini piccoli è poi utilissimo aiutarsi con colori, disegni, storielle, materiali di ogni tipo.

Questo genere di attività non vanno attuate nel momento di “crisi”: perché non funzionerebbero e perché seguirebbero quello che io chiamo “atteggiamento tachipirina”.

L’ “atteggiamento tachipirina” è quella predisposizione a:

  • preoccuparsi piuttosto che occuparsi
  • agire sul dolore piuttosto che in prevenzione dello stesso
  • agire sul sintomo e non andare alla sorgente
  • parlare di problema e non focalizzarsi sulle risorse
  • creare un circolo vizioso per cui dipendo dal problema e dal medicinale
  • annullare la propria responsabilità di fronte a ciò che crea il malessere.

 

L’ “atteggiamento tachipirina”, per altro molto diffuso, non aiuta, bensì perpetua ciò che vorremmo eliminare.

 

Parliamo allora di Ben-Essere, di prevenzione, di attività psicoeducative, di comunicazione empatica, di momenti di mindfulness, di equilibrio psicosomatico.

 

Come sviluppare nel bambino coscienza di sé, amore per sé, conoscenza delle regole, creazione delle regole, capacità di negoziazione, creatività e flessibilità emotiva?

 

Attraverso l’adulto che si pone come mediatore alla crescita.

 

Mediatore, ovvero stimolatore, persona che propone modelli di comportamento, di consapevolezza.

Adulto che si pone come persona che coltiva se stessa, il proprio tempo, il proprio Ben-Essere psicofisico.

 

Un adulto che pratica amore per sé è un adulto che reagisce meglio agli “attacchi” dell’ambiente esterno.

Un adulto che pratica amore per sé è un adulto allenato a usare tutto ciò che il bambino gli pone, come materiale educativo.

È giusto che un bambino impari e segua le regole, ma non in maniera acritica, nemmeno per timore.

Le regole vengono comprese se il terreno comunicativo si fonda su altro, una premessa affinché queste attecchiscano.

E quando fa il capriccio osserviamolo, sentiamo dentro di noi come ci sentiamo, verbalizziamo la nostra emozione di disagio, il nostro disappunto, anche la nostra rabbia.

 

La rabbia non è un’emozione negativa di per sé.

Diventa pericolosa se non ascoltata e non verbalizzata,

poiché si trasforma in aggressività, ovvero in azione.

 

Come azione sono la punizione, lo sculaccione, il rimprovero.

 

Il bambino così non capisce: sente solo che la sua rabbia ha richiamato altra rabbia.

 

Ed in questo modo creiamo ciò che vogliamo eliminare, ovvero un’ associazione. E la rinforziamo.

Andiamo – invece – oltre il comportamento, diamogli meno peso, costruiamo una comunicazione emotiva durante la quotidianità.

 

Non cerchiamo di risolvere l’emergenza mentre c’è l’emergenza.

 

Non mettiamo in moto il comportamento “tachipirina”.

Come possiamo allora educare i bambini alle emozioni?

Imparandolo noi stessi, mettendoci in gioco, mettendoci in ascolto attivo delle nostre emozioni ed imparando semplici attività concrete e pratiche.

 

ESEMPI DI ATTIVITÀ

  • Creare un momento della giornata dedicato ad esplorare come sto nel mio cuore: ciò abitua ad ampliare il gergo emotivo, crea una routine positiva, aiuta la condivisione genitore-figlio, fa si che non si parli di emozioni in seguito ad un evento particolare, ma sempre.

 

  • Accorgersi della propria voce: è sempre alto e squillante o sempre bisbigliato? Sempre veloce e concitato o lento lento? È bene variare, modulare la voce in base alla risonanze che si vogliono suggerire.

 

  • Predisporre in casa una “cassetta degli attrezzi” con semplici oggetti che possono essere utili per parlare di emozioni, oggetti dal valore simbolico. Per esempio: una spugnetta per quando abbiamo voglia di piangere, un martelletto di gomma per quando siamo arrabbiati, uno specchio per quando è ora di imparare a guardarsi negli occhi, una stoffa morbida per quando abbiamo bisogno di coccole, una scatola per quando vogliamo mettere dentro un segreto, un cd per quando è l’ora del relax, una pallina morbida per quando ci facciamo un massaggino, la collana hawaiana per quando è ora di scatenarsi nel divertimento.

 

  • Munirsi di un cerchio da hoola hoop e mandala per bambini: insegnare al bambino che quando si entra nel cerchio si sta ad occhi chiusi, a respirare, semplicemente a stare e magari colorar e il mandala dei colori di come si sente in quel momento.

 

  • Avere uno spazio ed un momento nella settimana per “distruggere”: strappare carta, buttare giù un muro di cubotti, urlare insieme, correre veloce veloce.

 

  • Il gioco della rabbia che si trasforma: i bambini hanno bisogno (ma anche gli adulti) di vivere delle esperienze che drammatizzano l’emozione, attraverso un linguaggio visivo e corporeo. Un gioco teatrale molto semplice ma di impatto potrebbe essere prendere un sacco e sbriciolarci dentro della carta di giornale, verbalizzando magari che stiamo rompendo tute le cose che non ci piacciono della giornata; facciamo finire i pezzi di carta dentro al sacco. Cosa ci vuole ora per sentirsi meglio? Nominiamo qualche semplice ingrediente come un abbraccio o una passeggiata o un gelato o un riposino. Trasformiamo questi ingredienti in pezzettini di carta colorata (precedentemente predisposti) che vanno a finire dentro al sacco. Lo chiudiamo, lo shakeriamo e poi lo apriamo e con un gesto liberatorio li tiriamo fuori. Messaggio: mi accorgo dell’emozione in me, la verbalizzato, la accetto. Trovo ciò che mi può far stare meglio e lo verbalizzo. Non ho voluto eliminare la rabbia, ma trasformarla. Tutto si trasforma. Messaggi evolutivi importantissimi.

 

Non serve un’occasione speciale per parlare di emozioni o fare queste cose.

 

Non scoraggiamoci se il bambino non segue subito le attività: per noi è importante che dedichi anche solo 5 minuti a sé, o che veda noi che ci dedichiamo a noi stessi.

 

La cosa più complicata da apprendere è l’amore verso sé stessi.

 

Serve allora che l’adulto recuperi il suo Bambino Interiore e lo metta in gioco.

Come:

  • Attraverso modellamento con un esperto che agisce con genitore e bambino presenti
  • Attraverso piccoli training esperienziali in prima persona del genitore (per comprendere profondamente il beneficio di queste attività)
  • Attraverso attività che il bambino può sperimentare con un esperto, in un rapporto 1:1 o in piccolo gruppo

 

Ecco una prima, utile bibliografia per approfondire:

  • “Io” di Dodd Emma
  • “Lezioni di volo” di Vainio Pirkko
  • “Il bambino nascosto” di Marcoli Alba
  • “Urlo di mamma” di Jutta Bauer
  • “Io dentro, io fuori” di Zanotti Cosetta
  • “L’alfabeto dei sentimenti” di Carioli Janna

 

 

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chiara caprio progetto benessere Treviso

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